Era da un po’ di tempo che non scrivevo un articolo sul sito, non perché non avessi idee o novità, ma soltanto perché ho impiegato i mesi estivi alla progettazione e sviluppo di nuove iniziative per l’autunno. Una di queste riguarda attività per la terza età.
In questi ultimi
mesi, mi è stato chiesto spesso cosa proponessi per gli anziani;
effettivamente non avevo finora progettato attività specifiche per
tale fascia d’età.
Negli ultimi mesi,
venendo incontro alle svariate richieste, ho iniziato a pensare ai
bisogni degli anziani nel nostro Territorio. Ho riscontrato
l’esigenza di aggregazione, il bisogno di incontrarsi e
condividere, ma anche di raccontarsi e di ricordare; inoltre ho
pensato che per mantenere attive le capacità cognitive sarebbe stato
utile allenare la creatività, e così ha avuto origine il progetto
“Mi mantengo Cre-Attivo”.
Questo progetto si
esplica in un percorso di 4 incontri di gruppo, ciascuno dei quali
consentirà al soggetto di entrare in contatto col proprio mondo
interiore, di ricordare e raccontare aneddoti sulla propria vita, di
utilizzare la motricità fine e la creatività, e infine (ma non
ultimo per importanza) vi è l’aspetto della condivisione. Ciascun
individuo, a qualunque età, ha la necessità di comunicare e
stabilire relazioni coi suoi simili, spesso però, nella terza età,
a causa di diversi fattori, tra cui la ridotta autonomia, le
relazioni vengono a mancare e il soggetto si sente solo. Questo
percorso, ha anche l’obiettivo di offrire uno spazio d’incontro e
condivisione.
Il percorso ha degli
obiettivi generali (di cui accennato sopra): l’ascolto
interno, l’immaginazione, la spontaneità e la condivisione.
Ciascun incontro ha
degli obiettivi specifici legati alla tematica scelta e raggiunti con
tecniche creative e attività tratte dalle ArtiTerapie.
Nello svolgimento
dei singoli incontri, si utilizzeranno tanti materiali, per lo più
naturali, molto evocativi, come la creta, la stoffa, le tempere e non
mancheranno prodotti alimentari come latte, limone e sale, che
renderanno ciascuna esperienza unica e irripetibile!
Queste attività
verranno proposte nei locali del Lab famiglie, ma sarà anche
possibile svolgerle in altre sedi (per esempio nelle strutture
residenziali) qualora ne venga fatta richiesta.
Per avere maggiori
dettagli sul percorso potete visitare la sezione Eventi del sito o
contattare direttamente il Lab famiglie telefonicamente o tramite
e-mail.
Oggi voglio spendere qualche parola sul week end appena trascorso. Un week end molto colorato e carico di emozioni!
A
Carbonia sabato 22 e domenica 23 si è svolta per la prima volta
i-NOVAS, la Fiera dell’Innovazione, un evento ricco di workshop,
seminari e stand dove poter entrare in contatto con l’affascinante
mondo dell’innovazione tecnologica.
Quest’evento
è stato accompagnato da intrattenimenti musicali, dall’immancabile
area food e dallo spazio bimbi, un’area interamente dedicata ai più
piccoli e alle famiglie.
E’
proprio in questo spazio che si è inserito anche il Lab famiglie.
Per la prima volta ci siamo confrontati con realtà ben note e
radicate nel territorio nel settore dell’animazione e dei Servizi
all’infanzia. Per noi è stata una bellissima esperienza e siamo
stati arricchiti dall’incontro con le persone e soprattutto con i
bambini. Il nostro stand era all’insegna del colore e il titolo è
stato di che colore è…
Attraverso
la scelta e l’utilizzo dei colori, ciascuno di noi esprime,
talvolta anche in modo inconsapevole i propri stati d’animo, le
proprie emozioni e perché no, anche le relazioni.
Nella
prima giornata abbiamo proposto diversi laboratori, tutti
coloratissimi.
Abbiamo
posizionato sul fondo del gazebo un grande lenzuolo bianco con
scritto: Di che colore è… questa giornata
e abbiamo invitato i bambini a dipingerne una parte. Abbiamo messo a
disposizione tempere, acquarelli e colori a dito (per accontentare
anche i più piccini).
Poi
abbiamo realizzato due cornici: una portava la scritta Di
che colore è… la mia famiglia
e serviva per inserirvi un ritratto di famiglia, appositamente
disegnato in un’area predisposta con tavoli, sedie, fogli e colori,
tanti colori!); l’altra si intitolava Di che colore è…
il mio umore e fungeva da
cornice per il viso del bambino (che veniva colorato, attraverso la
tecnica del body paint, del colore del proprio umore in quel momento)
che veniva immortalato dal genitore attraverso uno scatto
fotografico. Per aiutare i bambini nella scelta, sono stati messi a
disposizione libri per l’infanzia che mostrano l’associazione dei
colori alle emozioni).
Durante
la seconda parte dell’evento, accanto ai laboratori del giorno
prima abbiamo allestito un’area relax con tappeti e teli sul
terreno, nei quali i bambini (ma anche i genitori) potevano sedersi o
sdraiarsi e colorare i mandala (o disegnare liberamente) in totale
comodità.
A
completare le proposte del Lab famiglie, io e la collega Monica,
abbiamo indossato una maglia bianca con la scritta Di che
colore è… questa amicizia e
abbiamo chiesto ai bambini di lasciarci con i pennarelli colorati un
ricordo di questo incontro.
E’
stata davvero un’esperienza emozionante, soprattutto per noi
adulti. Constato spesso e con rammarico che da adulti, si perde la
capacità di vivere i colori, di giocare e di incontrarsi (in un
contatto fisico) con l’altro.
Sopraffatti da stereotipi e
pregiudizi, sovente siamo restii a consentire al prossimo di entrare
nel nostro spazio intimo e addirittura toccarci, con il solo
obiettivo di conoscerci ed entrare in relazione. Far
colorare le nostre maglie addosso, aveva varie valenze: volevamo
spezzare la rigidità degli schemi comportamentali, creare un
contatto, anche con la prossimità fisica e stabilire una relazione
basata sulla fiducia e la complicità.
Tirando
le somme, possiamo ritenerci soddisfatte del risultato. Credo che gli
obiettivi siano stati raggiunti e come tutte le esperienze che
proponiamo, siano state un momento di crescita, non soltanto per i
partecipanti ma soprattutto per noi!
E’ con grande entusiasmo che comunichiamo importanti novità: per l’estate 2019, Lab famiglie offrirà un servizio di ludoteca. Dal 10 giugno, sarà aperto tutte le mattine dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 per giochi e laboratori dedicati a bambini dai 4 ai 12 anni.
Nel pomeriggio, dal lunedì al giovedì, dalle 16 alle 18, verranno proposti laboratori, suddivisi per argomento e fascia d’età. Per partecipare ai laboratori del pomeriggio, sarà necessaria l’iscrizione anticipata (entro il giorno prima dell’evento).
I
temi scelti per le attività pomeridiane riguarderanno il riciclo
creativo, la musica, il movimento e il gioco.
Il
riciclo creativo è perfettamente in linea con il sentimento
ecologista, di rispetto dell’ambiente, che si sta diffondendo nella
nostra Società. Produrre meno rifiuti e utilizzare il più possibile
gli oggetti, anche dando nuova vita a quelli che potrebbero sembrare
destinati alla discarica, è uno dei nostri obiettivi. Ci si propone
di concretizzarlo con il riutilizzo di materiali destinati alla
spazzatura e dedicati invece alla realizzazione di manufatti e/o
giocattoli.
La
musica rappresenterà per i nostri progetti uno strumento
privilegiato di contatto con il proprio mondo interiore. Per
trasmettere l’importanza della relazione dell’uomo con il suono,
prenderò in prestito le parole di Gaita (Gaita, 1991, pp. 42-43)
“La musica incarna un po’ il sogno di un linguaggio originario che
sta prima delle parole, capace di una comunicazione immediata tra il
mondo e l’uomo, attraverso il corpo”.
“L’incontro
con i suoni, siano essi prodotti o ascoltati, attiva un ascolto
interiore fatto di connessioni con memorie sonore antiche, memorie
sensoriali, collegate a vicende affettive che divengono immagini […]”
(Bonanomi, 2009, pp. 207).
Nel
corso degli anni, si è evidenziato anche un collegamento tra la
musica ed il potenziamento cognitivo. La musica viene proposta come
mezzo per alimentare lo sviluppo del pensiero creativo e seguendo
questi principi, proporremo diversi laboratori (i dettagli saranno
pubblicati sulla sezione I Nostri Eventi).
Il movimento è un altro degli argomenti di interesse per i
laboratori estivi. Con movimento intendo psicomotricità. Lo sviluppo
psicomotorio, rappresenta per il bambino, la crescita integrata e
sinergica delle due dimensioni, motoria e psichica (Riccio, 2011).
Gli obiettivi che ci si prefigge con le attività che proporremo,
riguardano la percezione e la conoscenza del proprio corpo e delle
sue funzioni (delle sensazioni), l’esplorazione dello spazio, la
coordinazione e la relazione/collaborazione. Attraverso attività
estratte dalla Danzamovimentoterapia, si utilizzerà il corpo e il
movimento in uno spazio-tempo creativo che consentirà, attraverso la
sua funzione simbolica, di entrare in contatto con diversi stati
fisici ed emotivi.
Il gioco accompagnerà ogni evento, perché è attraverso il
gioco che i bambini apprendono e sviluppano le varie competenze.
L’attività ludica rappresenta la principale modalità espressiva
nel bambino e costituisce il mezzo per esplorare sé stesso e il
mondo circostante. Attraverso il gioco, il bambino esplora le
possibilità e sviluppa la creatività. L’obiettivo dei laboratori
specifici sul gioco, consisterà nel trasmettere il messaggio che
“per giocare non sono necessari giocattoli costosi ma ci si può
divertire ed esprimere liberamente la propria creatività, attraverso
l’utilizzo e la trasformazione di semplici oggetti e la
condivisione delle esperienze all’interno del gruppo dei pari”.
Verrà
inoltre attivato un progetto psico-educativo con l’utilizzo delle
favole dal titolo “I C’era una
volta che aiutano a crescere” per bambini dai
6 agli 11 anni. Durante i 9 appuntamenti in programma, verranno
affrontati diversi temi tra cui (le ansie e le paure, la gestione
della rabbia, l’espressione delle emozioni, l’autostima,
l’elaborazione di lutto e perdite, sogni e speranze). Sarà
possibile partecipare ai singoli eventi in base all’interesse
personale. Per il programma dettagliato e le date, invito gli
interessati a consultare, nei prossimi giorni, la sezione I Nostri
Eventi del sito.
Come consuetudine, ogni settimana propongo un articolo di
approfondimento dell’argomento trattato su Radio Luna Carbonia
durante il programma Magazine on tour condotto da Fabio Bellia. La
settimana scorsa abbiamo parlato di legami affettivi e questa
settimana, per restare sul tema abbiamo parlato della coppia, un
legame affettivo particolare e importante nella vita adulta e nella
costruzione della famiglia. Ovviamente l’argomento è vasto e non
sarebbe sufficiente un’ora per affrontarlo dettagliatamente. Mi
limiterò a far chiarezza su qualche aspetto e rispondere alle
domande più frequenti.
Le
caratteristiche che distinguono la coppia dagli altri legami
affettivi
La
coppia è il frutto di una scelta tra due individui (a differenza del
legame genitoriale, per esempio), ma solo questo aspetto non sarebbe
sufficiente a dargli una connotazione precisa. Anche l’amicizia è
basata sulla scelta.
Il
legame amoroso è caratterizzato da componenti sessuali (che lo
differenziano dall’amicizia), ma anche questo non sarebbe
sufficiente a differenziarlo da altri tipi di legame, infatti
potrebbero esistere legami sessuali al di fuori della coppia.
Ciò
che rende la coppia speciale rispetto agli altri legami è la
progettualità di una vita insieme e la creazione di una dimensione
relazionale nella quale i protagonisti possano esistere sia come
individualità che come parte di un Noi, di una unità speciale e
irripetibile.
Comunicazione
– Relazione
La
comunicazione è relazione. Nella coppia, come in qualsiasi altra
relazione la comunicazione è indispensabile. Nelle coppie, sovente,
arriva il momento in cui si smette di parlare. Per una serie di
motivi (l’abitudine, la noia, la paura di non essere compresi), ci
si chiude in sé stessi e si continua la vita a due senza scambiarsi
veramente informazioni su di sé e sui propri stati d’animo.
Ma
non pensiamo alla comunicazione solo come scambio verbale. Il primo
assioma della comunicazione dice “E’ impossibile non comunicare”,
ogni nostro comportamento manda un messaggio. Perciò dobbiamo essere
consapevoli che anche il nostro corpo comunica.
Proprio
nella relazione di coppia è importantissimo comprendere il
linguaggio del corpo e saperlo utilizzare per dialogare col partner a
livello non verbale, senza le parole.
A
volte gli sguardi, le carezze, i gesti comunicano più di tante
parole!
Spesso
la relazione di coppia è intaccata dalla gelosia. Cos’è e come
possiamo affrontarla?
La gelosia è un sentimento provocato dalla paura, dal sospetto o
dalla certezza di perdere la persona amata per causa di altri. Essa
può avere diverse gradazioni e nasce dal senso di inferiorità e
dalla scarsa autostima. Il geloso in fondo, pensa di non essere
all’altezza della relazione e vede in chi circonda la coppia una
possibile minaccia alla loro unione. Chi prova gelosia, crederà
sempre che qualcuno migliore conquisterà il suo partner.
Chi prova la gelosia di solito attribuisce all’altro le cause.
Sostiene di essere geloso perché il partner gliene da modo. Un primo
passo per affrontare la gelosia è rendersi conto che appartiene
soltanto a chi la prova e che bisogna guardare dentro sé stessi per
trovare le soluzioni. Credere nel proprio valore e nelle proprie
qualità.
Spesso
le coppie lamentano difficoltà nella relazione dopo la nascita dei
figli. Quali sono le cause e come si può rimediare?
Sono
tante le coppie che dopo la nascita di un figlio lamentano di aver
perso la dimensione di coppia, l’intimità.
La
coppia coniugale, con la nascita di un bambino entra in una nuova
fase, quella di coppia genitoriale. Questo nuovo ruolo richiede un
rapporto di collaborazione e solidarietà. Mentre, quando si era in
due, le relazioni ruotavano attorno alla sfera romantico-erotica e
amicale, con i figli, l’investimento di energie si sposta sul piano
della responsabilità genitoriale. La difficoltà consiste nel
trovare un equilibrio tra queste due modalità di essere coppia.
Spesso infatti, presi dal ruolo genitoriale, i bisogni della coppia
passano in secondo piano rispetto ai compiti genitoriali.
Sarebbe
importante che le coppie riuscissero a ritagliarsi un po’ di tempo
per stare insieme e che conservassero degli spazi intimi.
I
conflitti logorano le relazioni?
Contrariamente a ciò che si può pensare, non è il conflitto in sé
ad intaccare il legame, ma il modo in cui lo si fa.
Il conflitto può essere costruttivo e rappresenta una spinta verso
il cambiamento. Nelle coppie per esempio, può essere utile per
superare situazioni di stallo o portare la relazione a livelli
superiori chiarendo reciproci bisogni e aspettative.
Un conflitto è costruttivo quando si discute di un problema senza
attaccare la persona o la relazione, è limitato nel tempo (ha un
inizio e una fine) ed è finalizzato allo scambio di idee o al
raggiungimento di una soluzione.
Diventa distruttivo invece quando gli attacchi sono rivolti alla
persona, si protrae nel tempo senza vedere una via d’uscita, si
basa sulla prevaricazione dell’altro e non sullo scambio di idee.
Nella coppia questo potenziale distruttivo si concretizza nel
criticare in modo generalizzato, nel mettersi sulla difensiva e
attaccare con atteggiamenti di accusa e rimprovero, ma anche nel
mostrare indifferenza verso le critiche dell’altro.
Con queste brevi risposte, ho cercato di entrare in punta di piedi in
un argomento vastissimo e dalle mille sfaccettature, che mi riservo
di approfondire in seguito, magari rispondendo a vostre richieste
specifiche.
Bibliografia
C. Loriedo, A. Picardi –
Dalla teoria generale dei sistemi alla teoria dell’attaccamento,
2000, Ed. Franco Angeli
F. Monguzzi – La coppia
come paziente, 2006, Ed. Franco Angeli
P. Caillé – Uno e uno
fanno tre, 2007, Armando Editore
Per affrontare un discorso sui legami, partiamo dal presupposto che
l’essere umano ha bisogno di costruire legami per garantire la sua
stessa sopravvivenza (come gran parte dei mammiferi). Siamo esseri
sociali e in quanto tali, abbiamo la necessità di vivere intessendo
relazioni col prossimo. Secondo la teoria dell’attaccamento
infatti, la propensione a stringere relazioni emotive intime fa parte
della natura umana.
Nasciamo biologicamente
programmati a mettere in atto degli schemi comportamentali che
favoriscano la vicinanza con la madre. Ormai appare assodato che il
primo legame (quello con la madre) si sviluppi sin dai primi giorni
di vita e sia legato alle cure e ai rinforzi affettivi della madre.
La vicinanza con la madre, il percepire la continuità delle sue cure
, sviluppa nel bambino sentimenti di sicurezza e calore, che gli
permettono di acquisire consapevolezza del mondo esterno, ma anche la
sicurezza di sé stesso. Finora ho parlato di madre, solo per
semplicità espositiva, ma sarebbe più corretto parlare di figura di
attaccamento, intendendo con tale termine la persona che si prende
cura in modo costante e continuativo del neonato sin dalla nascita.
Sovente questo ruolo è ricoperto dalla madre, ma non esclusivamente
e non in tutte le famiglie. In un altro momento approfondirò questo
aspetto, per ora mi limiterò a parlare di legami.
Anche nella vita da adulti, la disponibilità di una figura di
attaccamento, sempre pronta a fornire risposte e sostegno,
rappresenti la principale fonte per il sentimento di sicurezza
dell’individuo.
La base sicura
Secondo la teoria
dell’attaccamento, in base al tipo di legame che il bambino
sviluppa con la figura di attaccamento, si costruirà dei modelli
interni di relazione col prossimo.
Quindi, il modo in cui si è costruita la relazione del bambino con
gli adulti significativi, ci da la misura sulla sua capacità di
instaurare legami affettivi soddisfacenti in età adulta.
La tendenza sarà quella di scegliere partner che confermino il
proprio modello relazionale.
Coloro che hanno sviluppato un modello di attaccamento sicuro,
avranno fiducia nel prossimo e non necessiteranno di continue
conferme da parte dell’altro. Saranno in grado di vivere in modo
maturo una relazione, nella quale entrambi possono mantenere la
propria identità e sentire al tempo stesso di far parte della
coppia.
Invece, gli individui che hanno avuto un attaccamento insicuro con la
madre, caratterizzato da cure discontinue e allontanamenti,
tenderanno a cercare partner insicuri. Se si è cresciuti con l’idea
che chi ama, prima o poi abbandonerà il campo, si andrà alla
ricerca di partner sfuggenti, per confermare inconsciamente questa
convinzione. Non di rado, infatti, in coppie caratterizzate da
attaccamento insicuro, si instaura un rapporto ambivalente nel quale
le dinamiche sono quelle in cui uno fugge e l’altro insegue, in un
circolo vizioso senza fine.
Costruzione dei legami
Il primo momento in cui i legami affettivi si instaurano (siano essi
di amicizia o di amore) è caratterizzato da un sentimento di
rispecchiamento. Ci si vede nell’altro, come se si trovasse la
parte mancante di sé stessi. Si proiettano sull’altro aspettative
e desideri e si tende a vedere nell’altro, solo le parti migliori.
Allo stesso tempo, si cerca di mostrare la parte migliore di sè,
celando gli aspetti che si ritiene possano non piacere all’altro.
Tutto ciò è normale e costituisce l’ “innamoramento” tipico
della prima fase che caratterizza, con gradualità e connotazioni
diverse, tutti i legami affettivi, non soltanto quelli propriamente
amorosi.
Dopo la fase iniziale nel quale si vedono solo i pregi della
relazione, si passa ad una visione più realistica di sé e
dell’altro fatta di pregi e difetti. Tutti i legami, anche quelli
che partono con le migliori premesse, subiscono gli assalti del
tempo, delle circostanze, delle avversità. Mantenere i legami
richiede lavoro, fatica, impegno e assunzione di responsabilità.
Come abbiamo accennato prima, i nostri modelli interni di
attaccamento, giocano un ruolo importante nella riuscita di un
rapporto, però ci sono altre componenti che influiscono
(l’autostima, la fiducia, la progettualità).
Il segreto per consolidare una
relazione è quello di superare due grandi scogli che solitamente si
presentano: la difficoltà di mantenere la propria individualità e
il desiderio di cambiare l’altro.
Per quanto riguarda il primo,
possiamo riferirci al discorso sull’appartenenza e separazione (di
cui abbiamo fatto cenno nell’articolo “La
famiglia nella vita dell’adulto”).
Ricordiamo la necessità dell’essere umano di stare dentro una
relazione ma conservando la propria individualità; non si può
negare sé
stessi per fondersi completamente nell’altro, permettendogli di
fagocitarci. E’ necessario condividere sogni, progetti e interessi
ma è altrettanto necessario che ciascuno ne conservi di
esclusivamente propri, che mantenga una parte “intima e segreta”,
purché, ovviamente, questa non nasconda l’intenzione di andare
contro il patto di fiducia stretto con l’altro. E’ quindi
indispensabile mantenere le reciproche differenze, pur ricercando i
necessari compromessi per condividere lo stesso spazio di relazione.
In una visione sistemica delle relazioni, possiamo sintetizzare
dicendo che devono coesistere l’Io, l’Altro e il Noi.
Per ciò che concerne il
secondo scoglio, il
desiderio e/o il tentativo di cambiare l’altro, appare
indispensabile sottolineare che non possiamo cambiare l’altro, se
l’altro non vuole cambiare! Possono esserci degli aspetti
dell’altra persona che ci danno fastidio, che vorremmo diversi.
Tuttavia, dobbiamo acquisire la consapevolezza che questo sentimento
di insoddisfazione è soltanto nostro, non viene vissuto allo
stesso modo dall’altro.
Pertanto possiamo soltanto
esprimere all’altro questo
nostro
(e sottolineo nostro!) disagio,
e cercare insieme un compromesso che possa essere soddisfacente per
entrambi.
Nel mio lavoro di terapeuta di
coppia, mi capita spesso di ricevere persone che si rivolgono a me
nella speranza che io li aiuti a cambiare il partner. Questa premessa
è sempre sbagliata. Ciascuno di noi può cambiare solo sé stesso, e
il cambiamento di un elemento porterà un cambiamento dell’intero
sistema. Quindi, ciascuno può cambiare soltanto il proprio
comportamento rispetto ad un comportamento non gradito dell’altro e
questo produrrà degli effetti sulla coppia.
Rottura dei legami
La rottura di un legame affettivo è difficile e spesso dolorosa
anche per chi prende la decisione.
A volte si ha la difficoltà di prendere decisioni. Spesso ci si
abitua talmente tanto all’insoddisfazione che la si sente quasi
familiare e più rassicurante rispetto all’ignoto rappresentato dal
futuro da soli.
Talvolta, la paura del cambiamento, può portare le persone a vivere
legami altamente conflittuali senza trovare soluzioni o celarsi
dietro un’apparente normalità di coppia che nasconde distanza
emotiva ed estraneità.
I legami rappresentano quindi un vincolo affettivo, una relazione, ma in senso estremo possono costituire qualcosa che lega, che costringe e da cui è difficile svincolarsi. Conoscerne le caratteristiche e i meccanismi di funzionamento, può aiutare a viverli in modo appagante e soddisfacente e quando necessario, scioglierli e liberarsi da legami diventati ormai catene e non più affetti!
Bibliografia
Bowlby, Costruzione e rottura dei legami affettivi, 1979, Raffaello Cortina
Bowlby, Una base sicura, 1989, Raffaello Cortina
Loriedo, Picardi, Dalla teoria generale dei sistemi alla teoria dell’attaccamento, 2007, Franco Angeli
Qualche settimana fa abbiamo parlato di adolescenti e dell’importanza della famiglia nel percorso di crescita. Oggi affronteremo il tema del ruolo che ricopre la famiglia per un adulto, intendendo con il termine “famiglia” la famiglia d’origine (i genitori).
Spesso gli studi demografici hanno descritto una situazione italiana, nella quale i giovani lasciano la casa dei genitori intorno ai 30 anni e oltre, ci parlano di adolescenza lunga e mancanza di autonomia da parte dei giovani. Sociologi e psicologi hanno cercato di dare spiegazioni a questo fenomeno, che presenta diverse chiavi di lettura.
E’
senz’altro legato a condizioni socio-economiche connesse al mercato
del lavoro e a fattori individuali, ma può anche essere ricondotto
alla fragilità delle relazioni all’interno della famiglia. Spesso
di tratta di famiglie troppo invischiate, nelle quali la
sopravvivenza stessa del sistema familiare dipende dall’unione dei
suoi membri. Bowen parla di “massa indifferenziata dell’io
familiare” per descrivere un identità emotiva conglomerata, una
situazione dove i membri sono in un rapporto simbiotico. In famiglie
con questo funzionamento l’uscita da casa dei figli può essere
vissuta come un vero e proprio tradimento dell’unità familiare e
un abbandono del sistema stesso.
Il processo di svincolo dei giovani adulti dal nucleo familiare genitoriale è da inquadrarsi nella coesistenza di due fattori: appartenenza e separazione.
Questi
due concetti si riferiscono al processo che consente agli individui
di intraprendere una vita autonoma e al tempo stesso non perdere
l’importante legame con le proprie radici.
Chiedere ad un individuo di appartenere ad un sistema ed allo stesso tempo di separarsene, può sembrare una contraddizione; ma soltanto se si assumono i due termini come antitetici e mutualmente escludentisi (o appartieni o ti separi). La vita umana non è mai o bianca o nera, è ricca di sfumature di colore, così se li interpretassimo invece, come due poli opposti lungo un continuum, potremmo constatare che esistono dei valori intermedi nei quali si può raggiungere un soddisfacente grado di autonomia pur mantenendo un legame affettivo e relazionale con i genitori.
Si può per esempio decidere di accettare un lavoro ben retribuito e appagante molto lontano da casa, con la consapevolezza che i genitori restino un punto di riferimento stabile e non vari l’investimento affettivo, e con la certezza di poter tornare ogni volta che lo si desideri.
Agli estremi di questa teorizzazione, avremo famiglie rigide nelle quali vige la regola “o come noi o fuori dal sistema”; quindi, da un lato troveremo coloro che per affermare la propria individualità devono abbandonare completamente la famiglia d’origine e dall’altro lato persone che devono aderire completamente e acriticamente ai valori e alle scelte dei genitori per non perdere il loro affetto e conservare l’appartenenza al sistema. Lungo questo continuum, le posizioni più funzionali sono quelle intermedie. Si deve sentire il senso di appartenenza al sistema familiare sapendo di potersene discostare per portare a compimento la propria individualità e il proprio progetto di vita.
L’individuo
ha bisogno della certezza di poter scegliere autonomamente (il
partner, il lavoro, gli studi, il luogo in cui vivere) sapendo che il
legame con i suoi genitori va oltre le scelte e non verrà inficiato
da esse.
Essere
sé stessi mantenendo salde le radici e i rapporti con la famiglia è
una dinamica in continuo adattamento. E’ un processo che richiede
l’impegno di tutti i componenti del sistema, necessita di una buona
dose di flessibilità e accomodamento. Pensiamo ai vari contesti
della vita nei quali per essere soddisfatti e realizzati dobbiamo
scontrarci con i dinieghi della famiglia (orientamenti sessuali,
scelta del partner, scelta del lavoro o del luogo in cui vivere).
Famiglie:
risorsa o vincolo?
La
famiglia è senz’altro entrambe le cose. E’ una risorsa preziosa,
non soltanto per i bambini, ma anche per gli adulti. Rappresenta
sovente, una risorsa pratica nella quotidianità, per ciò che
concerne il sostegno (economico, emotivo, di gestione dei nipoti) e
sia psicologica (fornisce un porto sicuro in cui approdare in caso di
difficoltà; costituisce una presenza affidabile, un pilastro a cui
appoggiarsi). Non meno importante è il significato simbolico della
famiglia come continuità dell’esistenza umana e della stirpe.
Fornisce inoltre la sicurezza dell’appartenenza ad un sistema con
un forte legame emotivo.
Al
tempo stesso però può rappresentare un vincolo per la realizzazione
individuale. A volte la famiglia attribuisce al singolo membro un
carico di responsabilità che diventa un vero e proprio nodo, che si
fa fatica a sciogliere, soprattutto perché ciò avviene fuori del
livello di coscienza (fa parte dei meccanismi inconsci) e ciò
comporta l’impossibilità di verbalizzare ed elaborare.
Durante
il percorso di crescita l’individuo costruisce una visione del
mondo che ha origine proprio dalla famiglia. Il bambino vede il mondo
attraverso la lente dei miti e dei mandati familiari con cui entra in
contatto. Impara, sin dall’infanzia, che la famiglia ripone tante
aspettative su di lui e, cerca (per quanto possibile) di soddisfarle.
Le scelte di vita, talvolta rispondono al bisogno di soddisfare le
aspettative dei genitori. Questo può avviene in modo automatico e
inconsapevole, diventa un comportamento interiorizzato, che va oltre
la richiesta esplicita della famiglia. Si può verificare anche in
assenza della persona fisica (dopo la morte di un genitore, si può
continuare una vita che non soddisfa, soltanto per il senso di colpa
causato dall’idea di disattendere il mandato familiare).
Si può uscire da questa morsa vi vincoli e mandati familiari attraverso la consapevolezza, la conoscenza e la comprensione dei vissuti familiari, non solo dei propri genitori, ma anche delle generazioni precedenti. In questo modo, si riesce a portare alla luce quel tesoro sommerso di informazioni che consentono di riflettere, di capire da dove hanno origine certi comportamenti e apportare i cambiamenti desiderati per raggiungere un soddisfacente stato di autonomia.
I terapeuti familiari padroneggiano diverse tecniche per esplorare questa dimensione, tra cui il Genogramma. Principalmente usato in terapia familiare, il genogramma si è rivelato essere molto utile anche in ambito preventivo e di esplorazione delle relazioni.
Per darne una definizione sintetica, si potrebbe dire che consiste nella ricostruzione narrativa (e/o fotografica) del proprio albero genealogico. In virtù dell’importanza ricoperta da questo strumento nella pratica clinica, a breve, proporremo, al Lab Famiglie, un seminario per coloro che fossero interessati a conoscere il Genogramma e la sua funzione terapeutica nell’ambito clinico e preventiva in quello gruppale.
Bibliografia
M. Bowen, Dalla famiglia all’individuo, 1979, Astrolabio,
Roma
S.Minuchin, Famiglie e terapia della famiglia, 1976,
Astrolabio, Roma
S. Montàgano, A. Pazzagli, Il genogramma, 2000, Franco Angeli,
Milano
Ormai, è per me consuetudine, nella pubblicazione dell’articolo
settimanale, riprendere e approfondire l’argomento che affrontiamo
su Radio Luna il lunedì in diretta nel programma di Fabio Bellia.
Questa
settimana abbiamo parlato di creatività.
Proprio
il programma musicale, gli artisti di fama nazionale ed
internazionale che ascoltiamo tra un intervento e l’altro mi hanno
ispirato l’argomento di questa settimana.
Quando
pensiamo alla creatività, la nostra mente associa subito grandi
personaggi che si sono distinti nell’arte, nella musica o per le
loro importantissime invenzioni, ma essere creativi non significa
essere Leonardo Da vinci, Michelangelo o Mozart. Ognuno di noi nella
vita utilizza in linea di massima due modalità di pensiero
(convergente e divergente). Entrambe utili e funzionali. Il primo è
di tipo logico-analitico e ci premette di applicare scrupolosamente
le procedure apprese. Molto utile nelle attività che richiedono
l’applicazione rigorosa di regole; il secondo è invece di tipo
creativo e multifunzionale, molto utile per guardare le cose da punti
di vista differenti, per avere visioni alternative.
L’artista
utilizza nelle sue creazioni principalmente la forma di pensiero
divergente. Questo approccio alla conoscenza del mondo consente di
vedere cose che gli altri non vedono, di andare oltre i confini degli
schemi della logica. Questa è la caratteristica che accomuna arte e
creatività e che consente di raggiungere produzioni originali e
stilisticamente lodevoli.
Ma
non pensiamo che la creatività sia appannaggio soltanto degli
artisti.
Nello
svolgimento di qualunque attività è necessario l’utilizzo di
entrambe le modalità di pensiero (convergente e divergente).
Pensiamo ad un musicista che usi soltanto la propria creatività e
non si attenga alle regole che sottendono la produzione musicale, non
raggiungerà livelli qualitativi elevati. Allo stesso modo un chimico
che utilizzi soltanto il pensiero logico-analitico, che si attenga
rigorosamente ai protocolli studiati ed alle procedure note e
consolidate, non potrà fare quel passo avanti che gli consentirebbe,
per esempio, di scoprire nuovi farmaci.
In
ogni ambito della vita quindi, è utile dotarsi di una buona dose di
creatività. Essa fa parte delle life skill, ossia quelle
abilità indispensabili per una vita funzionale.
Senza pensare alle
eccellenze, la creatività, nella quotidianità, è legata al problem
solving, ossia alla capacità di risolvere i problemi. Ci aiuta
ad ampliare la prospettiva, a collegare elementi diversi e trovare
soluzioni nuove laddove il nostro modo di agire non è più
funzionale.
La creatività ci
può aiutare anche a superare le crisi psicologiche.
Il processo creativo
è un processo di cambiamento, di trasformazione e attribuzione di
significato.
Anche la costruzione
di noi stessi è un processo creativo, è un continuo ricombinare e
ridare significato alle relazioni col mondo e alle tracce che queste
lasciano nel nostro mondo interiore.
La
ricetta per superare i momenti di crisi deve contenere una dose di
immaginazione, una di spontaneità, una di produttività e un pizzico
di ascolto interno.
Per
utilizzare efficacemente la propria creatività non bisogna
necessariamente essere dotati di un’intelligenza superiore. Come ha
dimostrato nel ‘67 Guillford, uno psicologo che effettuo degli
studi sulle forme del pensiero, la creatività opera in modo
soddisfacente in individui con quoziente intellettivo nella norma,
mentre le persone con intelligenza superiore (con QI sopra i 120)
tendono a non usarla o usarla meno. Pensano in modo conformista,
attenendosi scrupolosamente alle teorie e concetti precedentemente
memorizzati.
Ma
la creatività non è una dote innata, è un’abilità che si può
apprendere e potenziare durante la vita. Come l’esercizio fisico
può consentire lo sviluppo muscolare, così l’allenamento del
“cervello” attraverso l’utilizzo di specifici training di
apprendimento consente di potenziare il pensiero divergente.
Oggi la creatività
è considerata a tutti gli effetti una capacità trasversale, una
caratteristica dell’individuo che entra in gioco quando deve risponde
ad una richiesta in ambito organizzativo. Come
abbiamo detto precedentemente, fa
parte delle cosiddette life
skill,
abilità che servono per la vita di
ogni individuo.
Quindi,
se la creatività può essere imparata, dovrebbe essere insegnata.
Ma,
a tutt’oggi, nelle
nostre scuole, eccezion fatta per istituti
artistici e materie specifiche (come musica, danza, ecc…)
viene
maggiormente apprezzato il pensiero convergente. Gli studenti vengono
incoraggiati ad attenersi alle regole e non mettere in discussione
gli insegnamenti. Mentre sarebbe auspicabile che le abilità creative
venissero potenziate in tutti gli ambiti disciplinari, che la scuola
preparasse sin da piccoli ad utilizzare la flessibilità,
l’immaginazione e l’intraprendenza, doti
sempre più apprezzate in ambito lavorativo.
Ai
nuovi manager, a coloro che ambiscono a posti di successo, viene
richiesta sempre più la padronanza di queste qualità, quindi
sarebbe particolarmente utile far fiorire e potenziare queste
caratteristiche sin dalla tenera età.
Per
chi fosse interessato ad approfondire l’argomento, consiglio il
testo di A. Antonietti, La
creatività si impara,
edito
da GiuntiScuola, 2011.
L’autore
spiega in modo chiaro metodi e tecniche per lo sviluppo del pensiero
divergente a scuola.
L’adolescenza è il periodo che va dall’infanzia all’età adulta. E’ un periodo di profondi cambiamenti (fisici, dei processi cognitivi e delle modalità relazionali). Il cambiamento, anche quando è fisiologico, rappresenta per l’individuo un momento di crisi. L’intera struttura si deve riorganizzare. La crisi nell’adolescenza perciò è fisiologica e fa parte del percorso di crescita. Il malessere può coinvolgere una o più aree della vita: il rapporto col corpo che cambia, le modifiche nelle modalità di relazione coi pari, con gli adulti (e soprattutto con i genitori). In linea di massima, per elencarle (ovviamente non in modo esaustivo) potremmo citare:
l’autostima.
Una bassa autostima può far vacillare il senso del proprio valore
personale in diversi ambiti (sociale, scolastico, familiare,
corporeo);
percezione del sé
corporeo.
E’ correlata all’autostima e riguarda sia gli aspetti legati
all’immagine corporea che alle capacità, cioè l’adolescente
può provare disagio riguardo alle trasformazioni che il proprio
corpo subisce con l’avvento della pubertà e della maturazione
sessuale (es. pregi e/o difetti estetici), sia riguardo alle
prestazioni che il proprio corpo riesce ad eseguire (es. nelle
performance atletiche e/o artistiche);
relazionali sociali. Per
ciò che riguarda lo sviluppo delle competenze sociali,
l’adolescente può sperimentare un’incapacità di relazionarsi
coi pari che può portare o alla chiusura e all’isolamento o di
contro all’omologazione acritica al gruppo cui si è scelto di
appartenere e che funge da modello;
relazioni familiari.
L’adolescente
prova una fisiologica spinta verso la differenziazione dal proprio
sistema familiare legate all’individuazione e allo sviluppo
dell’autonomia. Spesso questo coglie i genitori impreparati alla
gestione di queste nuove dinamiche relazionali e li rende insicuri
nel proprio ruolo di educatori.
In
questo periodo il giovane inizia a sviluppare un progetto etico di
vita (è il periodo dei grandi ideali e valori!) e la famiglia ha un
ruolo importante nel percorso di crescita e affermazione
dell’adolescente. I genitori devono fornire un modello positivo a
cui i figli possono aderire o meno.
La
responsabilità genitoriale più grande consiste nel preparare i
figli all’autonomia. In questo periodo si passa dall’autorità
(basata su premi e punizioni) all’educazione fondata sulla
responsabilità.
I
genitori in questo momento devono essere pronti ad esporsi al
confronto sulle motivazioni che sorreggono le loro proposte o i loro
divieti. Quando i genitori vietano qualcosa ai figli non possono
nascondersi dietro la frase “perché te lo dice tuo padre/madre”,
ma argomentare e spiegare le motivazioni. Questo aiuta i ragazzi a
rafforzare il senso di autostima e di responsabilità.
Questa
modifica dello stile educativo e l’apparente perdita di autorità
sui figli, può rendere insicuri i genitori e spingerli in due
direzioni opposte. In alcuni casi, la rinuncia al progetto educativo
e la difficoltà di gestire il confronto/scontro con l’atteggiamento
oppositivo dei ragazzi, conduce i genitori verso uno spostamento
sullo stesso piano gerarchico dei figli. Quindi si opta
per l’instaurazione di un rapporto amicale. In altri casi, la paura
della perdita di potere sui figli può spingere i genitori ad un
inasprimento delle regole, ad un atteggiamento di maggiore rigidità
educativa con la conseguente creazione di una barriera comunicativa
tra le due generazioni.
Gerarchie
La
famiglia è un sistema con un’organizzazione gerarchica; proprio
l’esistenza di queste gerarchie ne garantisce il funzionamento.
Nonni,
genitori e figli fanno parte di piani gerarchici differenti, ciascuno
con i propri ruoli e i propri compiti di sviluppo. L’
importante elemento che determina il funzionamento del sistema
familiare sono i confini tra i sottosistemi. La loro funzione è
quella di proteggere la differenziazione e riguarda il passaggio di
informazioni tra un sottosistema e l’altro. Un errore
frequente in
cui incappano alcuni
genitori di adolescenti è infatti quello di scambiare con i figli
informazioni riguardanti la sfera coniugale, nella convinzione che
ormai siano grandi ed in grado di comprendere. Con
tale azione
si crea una confusione gerarchica nella quale il figlio compie un
salto nel sottosistema genitoriale o
il genitore sconfina
nel sottosistema filiale,
in
entrambi i casi, i soggetti ricoprono
ruoli
che non gli competono
ed entrano in contatto con informazioni non pertinenti.
Flessibilità
Per
una crescita funzionale, in una famiglia devono esistere regole
chiare, ruoli e limiti definiti, ma la parola chiave è flessibilità.
Deve esistere un certo grado di permeabilità dei confini e
flessibilità dei ruoli, ci si deve
muovere all’interno di un continuum tra queste polarità adattando
i comportamenti allo stile di funzionamento del sistema familiare,
alle naturali inclinazioni dei membri ed alle differenze individuali.
In
quest’ottica, la famiglia deve garantire l’appartenenza dei
membri fornendo una base sicura da cui partire per “l’esplorazione
del mondo” e al tempo stesso consentire la separazione.
L’adolescente
deve provare
il sentimento di appartenenza e al tempo stesso la spinta
verso
l’individuazione
da quel gruppo. Il processo evolutivo si dipana proprio
nell’equilibrio tra appartenenza e separazione. Il giovane figlio
sente di far parte del sistema familiare ma vive anche la pulsione
verso l’esterno, verso il gruppo dei pari, con cui sente di
condividere valori e ideali. Il sistema familiare deve affrontare il
difficile
processo di modifica dei legami interni al sistema e di articolazione
con gli altri sistemi sociali.
Interventi
possibili
Lavorare
con gli adolescenti e con le loro famiglie è un obiettivo del Lab
famiglie. Stiamo lavorando sulla progettazione di un percorso
laboratoriale per fornire un supporto concreto ai ragazzi ed ai
genitori che si trovano ad affrontare questa fase di cambiamento. La
finalità è quella di prevenire il disagio e di facilitare
l’espressione delle emozioni e la relazione coi pari e con la
famiglia.
Il progetto si esplicherà in
una decina di incontri, alcuni di essi solo per gruppi di ragazzi,
altri nei quali ci sarà un confronto con i genitori. Gli incontri
saranno in forma di laboratorio espressivo, nei quali verranno
utilizzate diverse metodologie (tra cui tecniche relazionali,
psicodrammatiche, corporee e artiterapie). Le tematiche generali su
cui saranno improntati gli interventi riguarderanno il corpo,
le emozioni e le relazioni.
Questo percorso verrà presentato nel
dettaglio a breve durante un seminario gratuito nella sede del Lab
famiglie, in data da destinarsi.
Bibliografia
S. Minuchin – Famiglie e
terapia della famiglia, 1976, Astrolabio
A. Pope, S. McHale, E.
Craighead – Migliorare l’autostima, 1995, Ed. Centro Studi
Erickson
G. Maiolo, G. Franchini –
Dalla parte degli adolescenti, 2004, Ed. Centro Studi Erickson
C.
Loriedo, A. Picardi – Dalla teoria generale dei sistemi alla
teoria dell’attaccamento, 2000, Ed. Franco Angeli
Oggi voglio affrontare un argomento che mi sta molto a cuore: gli
stereotipi. Da poco si è festeggiata la ricorrenza della Festa della
Donna, sulla cui origine ci sarebbero diverse teorie. La più diffusa
in Italia, farebbe risalire la nascita di questa celebrazione ad un
episodio di cronaca avvenuto nella seconda metà del 1800; l’incendio
di una fabbrica, nel quale morirono centinaia di operaie costrette
all’interno da un padrone despota e autoritario.
Quale sia la vera
origine, e quale sia la vostra posizione in merito, vorrei partire da
questo spunto per parlarvi di stereotipi, e nello specifico
stereotipi di genere.
Cos’è uno
stereotipo?
Se non abbiamo le
idee chiare sull’argomento potremmo cercare nel dizionario.
Il
dizionario ci suggerirebbe che con stereotipo si intende un modello
convenzionale di atteggiamento o opinione precostituita,
generalizzata e semplicistica, che si ripete in forma meccanica e non
si fonda sulla valutazione dei singoli casi.
Io
la definirei una scorciatoia del pensiero. Ci allevia dalla fatica di
elaborare tutta una serie di informazioni che dovremmo acquisire
nell’incontro con una persona nuova. Per usare un’analogia con
l’informatica, lo stereotipo è per la mente la modalità
“risparmio energetico”.
Immaginiamo
il nostro cervello come un computer che deve elaborare informazioni
che provengono dall’esterno, come un data base suddiviso in tante
caselle. Ogni casella corrisponde ad una categoria. Le categorie sono
numerose e vengono create per inserire tutto ciò con cui entriamo in
contatto. Ad ogni categoria attribuiamo delle caratteristiche che
supponiamo il soggetto debba avere. Per esempio, quando incontriamo
una donna, il nostro cervello ci rimanda tutta una serie di
informazioni sulla donna, per es. che le donne sono fragili e
sensibili, che amano i bambini e la famiglia, che amano il rosa, i
fiori, ecc… potrei stare qui delle ore ad elencare tutte le
caratteristiche che le donne dovrebbero avere, secondo lo stereotipo
“donna”. Questo modo di elaborare informazioni, ci evita di
acquisire tutta una serie di informazioni sul singolo, ma ovviamente
ha il suo risvolto della medaglia, ossia ci fornisce una visione
falsata, distorta delle persone e delle cose, perché i parametri che
abbiamo nel nostro database sono artificiosi e limitanti e tendono
solo a fornirci una visione povera e annebbiata della realtà.
Lo
stereotipo ci limita nella percezione della realtà e blocca ogni
forma di immaginazione.
Come
liberarci dallo stereotipo
Liberarci dagli stereotipi è
arduo ma possibile. Potremmo cominciare disattivando la “modalità
risparmio energetico” e pensando! Pensando
liberamente, senza pregiudizi. Potremmo sviluppare la capacità di
entrare in contatto con “la persona” e
non con una categoria astratta (la donna, l’uomo, l’immigrato,
l’omosessuale ecc…). La curiosità è un ottimo alleato
del pensiero libero e creativo. Aver voglia di scoprire chi è
davvero quella persona, quali sono i suoi gusti, le sue aspirazioni,
ci aiuta a liberarci dalla zavorra dello stereotipo.
Il titolo di questo articolo
recita “Riprendiamoci l’arcobaleno”. Questo messaggio
vuol essere un’esortazione a scegliere fuori dagli stereotipi. Per
troppo tempo ci hanno insegnato che esistono colori da maschio e
colori da femmina. L’utilizzo dei colori in base al genere di
appartenenza è il primo grande stereotipo con cui ci confrontiamo
sin dalla nascita. Riprendiamoci l’arcobaleno vuol essere un inno
alla libertà individuale, all’agire al di fuori delle definizioni
di genere, seguendo soltanto le proprie inclinazioni, assecondando le
proprie emozioni. Ognuno di noi è una persona con le proprie
peculiarità. Con ciò infatti, non si vogliono annullare le
differenze. Esse esistono e vanno valorizzate, ma non possono essere
attribuite all’appartenenza ad una categoria piuttosto che
un’altra, sono legate al fatto che esiste un “io” e un
“tu”. Quindi, rompiamo questi schemi e insegniamo ai
nostri figli che i colori sono di tutti!
E che ciascuno può sentirsi libero di scegliere a prescindere da ciò
che la società vorrebbe per lui. Addio
etichette, benvenute persone!
Lunedì scorso ho partecipato come ospite al programma radiofonico di Fabio Bellia, in diretta su Radio Luna Carbonia. E’ stata una piacevole occasione per parlare di psicologia, in leggerezza e in una cornice di buona musica. Abbiamo deciso di far diventare questa esperienza un appuntamento settimanale. Perciò, chi avesse piacere può ascoltarci tutti i lunedì alle 18 su Radio Luna.
Lo
scorso lunedì abbiamo parlato di benessere, un tema a cui tengo
molto e che ho inserito come finalità per tutte le mie attività.
Noi psicologi possiamo fare tanto per aiutare le persone a
raggiungere lo stato di benessere.
Ma cosa significa benessere o wellness (per usare un inglesismo)?
Con
questo termine si intende uno stato armonico di salute, un equilibrio
di forze fisiche e spirituali.
Benessere
significa stare bene. Star bene rappresenta uno stato che coinvolge
tutti gli aspetti della vita dell’essere umano, biologico,
psicologico e relazionale.
Per
benessere biologico o fisico, intendiamo l’assenza di malattia, un
rapporto funzionale con il cibo e l’attività fisica.
Sul
benessere psicologico, negli ultimi anni, si è espressa anche
l’Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS), includendolo
nel
concetto di salute.
Dice
l’OMS: gli
individui devono avere la possibilità di sentirsi a proprio agio
nelle circostanze che si trovano a vivere.
Secondo
la definizione dell’OMS, infatti, il benessere psicologico è
quello stato nel quale l’individuo è in grado di sfruttare le sue
capacità cognitive o emozionali per rispondere alle esigenze
quotidiane della vita di ogni giorno, stabilire relazioni
soddisfacenti e mature con gli altri, adattandosi costruttivamente
alle condizioni esterne e ai conflitti interni.
Per
ciò che riguarda l’aspetto relazionale, come
accennato poc’anzi, appare
ormai assodato che l’uomo sia un essere sociale. Per vivere
necessità di relazioni. Durante la sua esistenza deve sviluppare
legami stabili
e duraturi, sia in ambito amicale che familiare, essere
in grado di costruire attorno a sé una rete sociale in grado di
sostenerlo.
Cosa
possiamo fare per raggiungere il benessere?
Recentemente,
gli studiosi del settore, hanno stilato
una serie di
requisiti da soddisfare per
raggiungere lo stato di
benessere psicologico.
Tra questi vi sono:
Accettazione di sé
– apprezzarsi
per ciò che si è, con i propri pregi e difetti, valorizzando
le caratteristiche positive accettando
quelle che non ci piacciono (ma che non possiamo cambiare).
Autonomia –
avere la capacità di resistere alle pressioni sociali esterne sia
nella scelta delle azioni da compiere che nei propri pensieri
Padronanza del contesto
– avere la capacità di padroneggiare le situazioni, cogliere
tutte le opportunità che si presentano senza farsi trascinare dagli
eventi o evitare di fare per paura di sbagliare.
Obiettivi –
avere
uno scopo nella vita, una direzione da seguire
Crescita personale
– Coloro che lavorano su sé stesse sono in continuo sviluppo e
raggiungono soddisfacenti livelli di autoconsapevolezza.
Legami – Avere
legami stabili e duraturi.
Ognuno di questi elementi,
racchiude in sé un concetto importante che è quello del prendersi
cura di sé. Ciò che possiamo fare per star bene è proprio
appropriarci di uno spazio e di un tempo che sia soltanto nostro.
Dedicarci al nostro corpo, conoscere noi stessi, le nostre emozioni,
chiederci “ma io cosa voglio?” “Di cosa ho bisogno?”.
Al Lab famiglie cerchiamo di offrire uno spazio proprio in risposta all’esigenza di dedicare tempo a sé stessi e alle proprie relazioni.
Proponiamo attività leggere,
spesso ludiche per l’esplorazione del proprio mondo interiore e
delle relazioni, perché non necessariamente le cose importanti
devono essere serie e noiose. Ci si può prender cura di sé con
serenità e leggerezza e perché no, in modo piacevole e in gruppo!