Nuovi percorsi: terza età

Era da un po’ di tempo che non scrivevo un articolo sul sito, non perché non avessi idee o novità, ma soltanto perché ho impiegato i mesi estivi alla progettazione e sviluppo di nuove iniziative per l’autunno. Una di queste riguarda attività per la terza età.

In questi ultimi mesi, mi è stato chiesto spesso cosa proponessi per gli anziani; effettivamente non avevo finora progettato attività specifiche per tale fascia d’età.

Una mente Cre-Attiva

Negli ultimi mesi, venendo incontro alle svariate richieste, ho iniziato a pensare ai bisogni degli anziani nel nostro Territorio. Ho riscontrato l’esigenza di aggregazione, il bisogno di incontrarsi e condividere, ma anche di raccontarsi e di ricordare; inoltre ho pensato che per mantenere attive le capacità cognitive sarebbe stato utile allenare la creatività, e così ha avuto origine il progetto “Mi mantengo Cre-Attivo”.

Questo progetto si esplica in un percorso di 4 incontri di gruppo, ciascuno dei quali consentirà al soggetto di entrare in contatto col proprio mondo interiore, di ricordare e raccontare aneddoti sulla propria vita, di utilizzare la motricità fine e la creatività, e infine (ma non ultimo per importanza) vi è l’aspetto della condivisione. Ciascun individuo, a qualunque età, ha la necessità di comunicare e stabilire relazioni coi suoi simili, spesso però, nella terza età, a causa di diversi fattori, tra cui la ridotta autonomia, le relazioni vengono a mancare e il soggetto si sente solo. Questo percorso, ha anche l’obiettivo di offrire uno spazio d’incontro e condivisione.

Il percorso ha degli obiettivi generali (di cui accennato sopra): l’ascolto interno, l’immaginazione, la spontaneità e la condivisione.

Ciascun incontro ha degli obiettivi specifici legati alla tematica scelta e raggiunti con tecniche creative e attività tratte dalle ArtiTerapie.

Nello svolgimento dei singoli incontri, si utilizzeranno tanti materiali, per lo più naturali, molto evocativi, come la creta, la stoffa, le tempere e non mancheranno prodotti alimentari come latte, limone e sale, che renderanno ciascuna esperienza unica e irripetibile!

Queste attività verranno proposte nei locali del Lab famiglie, ma sarà anche possibile svolgerle in altre sedi (per esempio nelle strutture residenziali) qualora ne venga fatta richiesta.

Per avere maggiori dettagli sul percorso potete visitare la sezione Eventi del sito o contattare direttamente il Lab famiglie telefonicamente o tramite e-mail.

Di che colore è…

Oggi voglio spendere qualche parola sul week end appena trascorso. Un week end molto colorato e carico di emozioni!

A Carbonia sabato 22 e domenica 23 si è svolta per la prima volta i-NOVAS, la Fiera dell’Innovazione, un evento ricco di workshop, seminari e stand dove poter entrare in contatto con l’affascinante mondo dell’innovazione tecnologica.

Quest’evento è stato accompagnato da intrattenimenti musicali, dall’immancabile area food e dallo spazio bimbi, un’area interamente dedicata ai più piccoli e alle famiglie.

Working progress

E’ proprio in questo spazio che si è inserito anche il Lab famiglie. Per la prima volta ci siamo confrontati con realtà ben note e radicate nel territorio nel settore dell’animazione e dei Servizi all’infanzia. Per noi è stata una bellissima esperienza e siamo stati arricchiti dall’incontro con le persone e soprattutto con i bambini. Il nostro stand era all’insegna del colore e il titolo è stato di che colore è…

Attraverso la scelta e l’utilizzo dei colori, ciascuno di noi esprime, talvolta anche in modo inconsapevole i propri stati d’animo, le proprie emozioni e perché no, anche le relazioni.

Nella prima giornata abbiamo proposto diversi laboratori, tutti coloratissimi.

In divenire…

Abbiamo posizionato sul fondo del gazebo un grande lenzuolo bianco con scritto: Di che colore è… questa giornata e abbiamo invitato i bambini a dipingerne una parte. Abbiamo messo a disposizione tempere, acquarelli e colori a dito (per accontentare anche i più piccini).

Il dipinto

Poi abbiamo realizzato due cornici: una portava la scritta Di che colore è… la mia famiglia e serviva per inserirvi un ritratto di famiglia, appositamente disegnato in un’area predisposta con tavoli, sedie, fogli e colori, tanti colori!); l’altra si intitolava Di che colore è… il mio umore e fungeva da cornice per il viso del bambino (che veniva colorato, attraverso la tecnica del body paint, del colore del proprio umore in quel momento) che veniva immortalato dal genitore attraverso uno scatto fotografico. Per aiutare i bambini nella scelta, sono stati messi a disposizione libri per l’infanzia che mostrano l’associazione dei colori alle emozioni).

Ritratto di famiglia
I colori delle mie emozioni

Durante la seconda parte dell’evento, accanto ai laboratori del giorno prima abbiamo allestito un’area relax con tappeti e teli sul terreno, nei quali i bambini (ma anche i genitori) potevano sedersi o sdraiarsi e colorare i mandala (o disegnare liberamente) in totale comodità.

A completare le proposte del Lab famiglie, io e la collega Monica, abbiamo indossato una maglia bianca con la scritta Di che colore è… questa amicizia e abbiamo chiesto ai bambini di lasciarci con i pennarelli colorati un ricordo di questo incontro.

E’ stata davvero un’esperienza emozionante, soprattutto per noi adulti. Constato spesso e con rammarico che da adulti, si perde la capacità di vivere i colori, di giocare e di incontrarsi (in un contatto fisico) con l’altro. Sopraffatti da stereotipi e pregiudizi, sovente siamo restii a consentire al prossimo di entrare nel nostro spazio intimo e addirittura toccarci, con il solo obiettivo di conoscerci ed entrare in relazione. Far colorare le nostre maglie addosso, aveva varie valenze: volevamo spezzare la rigidità degli schemi comportamentali, creare un contatto, anche con la prossimità fisica e stabilire una relazione basata sulla fiducia e la complicità.

Il colore dell’amicizia a fine serata

Tirando le somme, possiamo ritenerci soddisfatte del risultato. Credo che gli obiettivi siano stati raggiunti e come tutte le esperienze che proponiamo, siano state un momento di crescita, non soltanto per i partecipanti ma soprattutto per noi!

Lab estate

Estate al Lab famiglie

E’ con grande entusiasmo che comunichiamo importanti novità: per l’estate 2019, Lab famiglie offrirà un servizio di ludoteca. Dal 10 giugno, sarà aperto tutte le mattine dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 per giochi e laboratori dedicati a bambini dai 4 ai 12 anni.

Nel pomeriggio, dal lunedì al giovedì, dalle 16 alle 18, verranno proposti laboratori, suddivisi per argomento e fascia d’età. Per partecipare ai laboratori del pomeriggio, sarà necessaria l’iscrizione anticipata (entro il giorno prima dell’evento).

I temi scelti per le attività pomeridiane riguarderanno il riciclo creativo, la musica, il movimento e il gioco.

Il riciclo creativo è perfettamente in linea con il sentimento ecologista, di rispetto dell’ambiente, che si sta diffondendo nella nostra Società. Produrre meno rifiuti e utilizzare il più possibile gli oggetti, anche dando nuova vita a quelli che potrebbero sembrare destinati alla discarica, è uno dei nostri obiettivi. Ci si propone di concretizzarlo con il riutilizzo di materiali destinati alla spazzatura e dedicati invece alla realizzazione di manufatti e/o giocattoli.

La musica rappresenterà per i nostri progetti uno strumento privilegiato di contatto con il proprio mondo interiore. Per trasmettere l’importanza della relazione dell’uomo con il suono, prenderò in prestito le parole di Gaita (Gaita, 1991, pp. 42-43) “La musica incarna un po’ il sogno di un linguaggio originario che sta prima delle parole, capace di una comunicazione immediata tra il mondo e l’uomo, attraverso il corpo”.

“L’incontro con i suoni, siano essi prodotti o ascoltati, attiva un ascolto interiore fatto di connessioni con memorie sonore antiche, memorie sensoriali, collegate a vicende affettive che divengono immagini […]” (Bonanomi, 2009, pp. 207).

Nel corso degli anni, si è evidenziato anche un collegamento tra la musica ed il potenziamento cognitivo. La musica viene proposta come mezzo per alimentare lo sviluppo del pensiero creativo e seguendo questi principi, proporremo diversi laboratori (i dettagli saranno pubblicati sulla sezione I Nostri Eventi).

Il movimento è un altro degli argomenti di interesse per i laboratori estivi. Con movimento intendo psicomotricità. Lo sviluppo psicomotorio, rappresenta per il bambino, la crescita integrata e sinergica delle due dimensioni, motoria e psichica (Riccio, 2011). Gli obiettivi che ci si prefigge con le attività che proporremo, riguardano la percezione e la conoscenza del proprio corpo e delle sue funzioni (delle sensazioni), l’esplorazione dello spazio, la coordinazione e la relazione/collaborazione. Attraverso attività estratte dalla Danzamovimentoterapia, si utilizzerà il corpo e il movimento in uno spazio-tempo creativo che consentirà, attraverso la sua funzione simbolica, di entrare in contatto con diversi stati fisici ed emotivi.

Il gioco accompagnerà ogni evento, perché è attraverso il gioco che i bambini apprendono e sviluppano le varie competenze. L’attività ludica rappresenta la principale modalità espressiva nel bambino e costituisce il mezzo per esplorare sé stesso e il mondo circostante. Attraverso il gioco, il bambino esplora le possibilità e sviluppa la creatività. L’obiettivo dei laboratori specifici sul gioco, consisterà nel trasmettere il messaggio che “per giocare non sono necessari giocattoli costosi ma ci si può divertire ed esprimere liberamente la propria creatività, attraverso l’utilizzo e la trasformazione di semplici oggetti e la condivisione delle esperienze all’interno del gruppo dei pari”.

Verrà inoltre attivato un progetto psico-educativo con l’utilizzo delle favole dal titolo “I C’era una volta che aiutano a crescere” per bambini dai 6 agli 11 anni. Durante i 9 appuntamenti in programma, verranno affrontati diversi temi tra cui (le ansie e le paure, la gestione della rabbia, l’espressione delle emozioni, l’autostima, l’elaborazione di lutto e perdite, sogni e speranze). Sarà possibile partecipare ai singoli eventi in base all’interesse personale. Per il programma dettagliato e le date, invito gli interessati a consultare, nei prossimi giorni, la sezione I Nostri Eventi del sito.

La coppia

Come consuetudine, ogni settimana propongo un articolo di approfondimento dell’argomento trattato su Radio Luna Carbonia durante il programma Magazine on tour condotto da Fabio Bellia. La settimana scorsa abbiamo parlato di legami affettivi e questa settimana, per restare sul tema abbiamo parlato della coppia, un legame affettivo particolare e importante nella vita adulta e nella costruzione della famiglia. Ovviamente l’argomento è vasto e non sarebbe sufficiente un’ora per affrontarlo dettagliatamente. Mi limiterò a far chiarezza su qualche aspetto e rispondere alle domande più frequenti.

Le caratteristiche che distinguono la coppia dagli altri legami affettivi

La coppia è il frutto di una scelta tra due individui (a differenza del legame genitoriale, per esempio), ma solo questo aspetto non sarebbe sufficiente a dargli una connotazione precisa. Anche l’amicizia è basata sulla scelta.

Amore e complicità

Il legame amoroso è caratterizzato da componenti sessuali (che lo differenziano dall’amicizia), ma anche questo non sarebbe sufficiente a differenziarlo da altri tipi di legame, infatti potrebbero esistere legami sessuali al di fuori della coppia.

Ciò che rende la coppia speciale rispetto agli altri legami è la progettualità di una vita insieme e la creazione di una dimensione relazionale nella quale i protagonisti possano esistere sia come individualità che come parte di un Noi, di una unità speciale e irripetibile.

Comunicazione – Relazione

La comunicazione è relazione. Nella coppia, come in qualsiasi altra relazione la comunicazione è indispensabile. Nelle coppie, sovente, arriva il momento in cui si smette di parlare. Per una serie di motivi (l’abitudine, la noia, la paura di non essere compresi), ci si chiude in sé stessi e si continua la vita a due senza scambiarsi veramente informazioni su di sé e sui propri stati d’animo.

Ma non pensiamo alla comunicazione solo come scambio verbale. Il primo assioma della comunicazione dice “E’ impossibile non comunicare”, ogni nostro comportamento manda un messaggio. Perciò dobbiamo essere consapevoli che anche il nostro corpo comunica.

Proprio nella relazione di coppia è importantissimo comprendere il linguaggio del corpo e saperlo utilizzare per dialogare col partner a livello non verbale, senza le parole.

A volte gli sguardi, le carezze, i gesti comunicano più di tante parole!

Spesso la relazione di coppia è intaccata dalla gelosia. Cos’è e come possiamo affrontarla?

Gelosia

La gelosia è un sentimento provocato dalla paura, dal sospetto o dalla certezza di perdere la persona amata per causa di altri. Essa può avere diverse gradazioni e nasce dal senso di inferiorità e dalla scarsa autostima. Il geloso in fondo, pensa di non essere all’altezza della relazione e vede in chi circonda la coppia una possibile minaccia alla loro unione. Chi prova gelosia, crederà sempre che qualcuno migliore conquisterà il suo partner.

Chi prova la gelosia di solito attribuisce all’altro le cause. Sostiene di essere geloso perché il partner gliene da modo. Un primo passo per affrontare la gelosia è rendersi conto che appartiene soltanto a chi la prova e che bisogna guardare dentro sé stessi per trovare le soluzioni. Credere nel proprio valore e nelle proprie qualità.

Spesso le coppie lamentano difficoltà nella relazione dopo la nascita dei figli. Quali sono le cause e come si può rimediare?

Sono tante le coppie che dopo la nascita di un figlio lamentano di aver perso la dimensione di coppia, l’intimità.

La coppia coniugale, con la nascita di un bambino entra in una nuova fase, quella di coppia genitoriale. Questo nuovo ruolo richiede un rapporto di collaborazione e solidarietà. Mentre, quando si era in due, le relazioni ruotavano attorno alla sfera romantico-erotica e amicale, con i figli, l’investimento di energie si sposta sul piano della responsabilità genitoriale. La difficoltà consiste nel trovare un equilibrio tra queste due modalità di essere coppia. Spesso infatti, presi dal ruolo genitoriale, i bisogni della coppia passano in secondo piano rispetto ai compiti genitoriali.

Sarebbe importante che le coppie riuscissero a ritagliarsi un po’ di tempo per stare insieme e che conservassero degli spazi intimi.

I conflitti logorano le relazioni?

Contrariamente a ciò che si può pensare, non è il conflitto in sé ad intaccare il legame, ma il modo in cui lo si fa.

Il conflitto può essere costruttivo e rappresenta una spinta verso il cambiamento. Nelle coppie per esempio, può essere utile per superare situazioni di stallo o portare la relazione a livelli superiori chiarendo reciproci bisogni e aspettative.

Un conflitto è costruttivo quando si discute di un problema senza attaccare la persona o la relazione, è limitato nel tempo (ha un inizio e una fine) ed è finalizzato allo scambio di idee o al raggiungimento di una soluzione.

Diventa distruttivo invece quando gli attacchi sono rivolti alla persona, si protrae nel tempo senza vedere una via d’uscita, si basa sulla prevaricazione dell’altro e non sullo scambio di idee.

Nella coppia questo potenziale distruttivo si concretizza nel criticare in modo generalizzato, nel mettersi sulla difensiva e attaccare con atteggiamenti di accusa e rimprovero, ma anche nel mostrare indifferenza verso le critiche dell’altro.

Con queste brevi risposte, ho cercato di entrare in punta di piedi in un argomento vastissimo e dalle mille sfaccettature, che mi riservo di approfondire in seguito, magari rispondendo a vostre richieste specifiche.

Bibliografia

  • C. Loriedo, A. Picardi – Dalla teoria generale dei sistemi alla teoria dell’attaccamento, 2000, Ed. Franco Angeli
  • F. Monguzzi – La coppia come paziente, 2006, Ed. Franco Angeli
  • P. Caillé – Uno e uno fanno tre, 2007, Armando Editore

I legami affettivi

Per affrontare un discorso sui legami, partiamo dal presupposto che l’essere umano ha bisogno di costruire legami per garantire la sua stessa sopravvivenza (come gran parte dei mammiferi). Siamo esseri sociali e in quanto tali, abbiamo la necessità di vivere intessendo relazioni col prossimo. Secondo la teoria dell’attaccamento infatti, la propensione a stringere relazioni emotive intime fa parte della natura umana.

Nasciamo biologicamente programmati a mettere in atto degli schemi comportamentali che favoriscano la vicinanza con la madre. Ormai appare assodato che il primo legame (quello con la madre) si sviluppi sin dai primi giorni di vita e sia legato alle cure e ai rinforzi affettivi della madre. La vicinanza con la madre, il percepire la continuità delle sue cure , sviluppa nel bambino sentimenti di sicurezza e calore, che gli permettono di acquisire consapevolezza del mondo esterno, ma anche la sicurezza di sé stesso. Finora ho parlato di madre, solo per semplicità espositiva, ma sarebbe più corretto parlare di figura di attaccamento, intendendo con tale termine la persona che si prende cura in modo costante e continuativo del neonato sin dalla nascita. Sovente questo ruolo è ricoperto dalla madre, ma non esclusivamente e non in tutte le famiglie. In un altro momento approfondirò questo aspetto, per ora mi limiterò a parlare di legami.

Anche nella vita da adulti, la disponibilità di una figura di attaccamento, sempre pronta a fornire risposte e sostegno, rappresenti la principale fonte per il sentimento di sicurezza dell’individuo.

La base sicura

Secondo la teoria dell’attaccamento, in base al tipo di legame che il bambino sviluppa con la figura di attaccamento, si costruirà dei modelli interni di relazione col prossimo.

Quindi, il modo in cui si è costruita la relazione del bambino con gli adulti significativi, ci da la misura sulla sua capacità di instaurare legami affettivi soddisfacenti in età adulta.

La tendenza sarà quella di scegliere partner che confermino il proprio modello relazionale.

Coloro che hanno sviluppato un modello di attaccamento sicuro, avranno fiducia nel prossimo e non necessiteranno di continue conferme da parte dell’altro. Saranno in grado di vivere in modo maturo una relazione, nella quale entrambi possono mantenere la propria identità e sentire al tempo stesso di far parte della coppia.

Invece, gli individui che hanno avuto un attaccamento insicuro con la madre, caratterizzato da cure discontinue e allontanamenti, tenderanno a cercare partner insicuri. Se si è cresciuti con l’idea che chi ama, prima o poi abbandonerà il campo, si andrà alla ricerca di partner sfuggenti, per confermare inconsciamente questa convinzione. Non di rado, infatti, in coppie caratterizzate da attaccamento insicuro, si instaura un rapporto ambivalente nel quale le dinamiche sono quelle in cui uno fugge e l’altro insegue, in un circolo vizioso senza fine.

Costruzione dei legami

Il primo momento in cui i legami affettivi si instaurano (siano essi di amicizia o di amore) è caratterizzato da un sentimento di rispecchiamento. Ci si vede nell’altro, come se si trovasse la parte mancante di sé stessi. Si proiettano sull’altro aspettative e desideri e si tende a vedere nell’altro, solo le parti migliori. Allo stesso tempo, si cerca di mostrare la parte migliore di sè, celando gli aspetti che si ritiene possano non piacere all’altro. Tutto ciò è normale e costituisce l’ “innamoramento” tipico della prima fase che caratterizza, con gradualità e connotazioni diverse, tutti i legami affettivi, non soltanto quelli propriamente amorosi.

Dopo la fase iniziale nel quale si vedono solo i pregi della relazione, si passa ad una visione più realistica di sé e dell’altro fatta di pregi e difetti. Tutti i legami, anche quelli che partono con le migliori premesse, subiscono gli assalti del tempo, delle circostanze, delle avversità. Mantenere i legami richiede lavoro, fatica, impegno e assunzione di responsabilità. Come abbiamo accennato prima, i nostri modelli interni di attaccamento, giocano un ruolo importante nella riuscita di un rapporto, però ci sono altre componenti che influiscono (l’autostima, la fiducia, la progettualità).

Il segreto per consolidare una relazione è quello di superare due grandi scogli che solitamente si presentano: la difficoltà di mantenere la propria individualità e il desiderio di cambiare l’altro.

Per quanto riguarda il primo, possiamo riferirci al discorso sull’appartenenza e separazione (di cui abbiamo fatto cenno nell’articolo “La famiglia nella vita dell’adulto”). Ricordiamo la necessità dell’essere umano di stare dentro una relazione ma conservando la propria individualità; non si può negare sé stessi per fondersi completamente nell’altro, permettendogli di fagocitarci. E’ necessario condividere sogni, progetti e interessi ma è altrettanto necessario che ciascuno ne conservi di esclusivamente propri, che mantenga una parte “intima e segreta”, purché, ovviamente, questa non nasconda l’intenzione di andare contro il patto di fiducia stretto con l’altro. E’ quindi indispensabile mantenere le reciproche differenze, pur ricercando i necessari compromessi per condividere lo stesso spazio di relazione. In una visione sistemica delle relazioni, possiamo sintetizzare dicendo che devono coesistere l’Io, l’Altro e il Noi.

Per ciò che concerne il secondo scoglio, il desiderio e/o il tentativo di cambiare l’altro, appare indispensabile sottolineare che non possiamo cambiare l’altro, se l’altro non vuole cambiare! Possono esserci degli aspetti dell’altra persona che ci danno fastidio, che vorremmo diversi. Tuttavia, dobbiamo acquisire la consapevolezza che questo sentimento di insoddisfazione è soltanto nostro, non viene vissuto allo stesso modo dall’altro. Pertanto possiamo soltanto esprimere all’altro questo nostro (e sottolineo nostro!) disagio, e cercare insieme un compromesso che possa essere soddisfacente per entrambi.

Nel mio lavoro di terapeuta di coppia, mi capita spesso di ricevere persone che si rivolgono a me nella speranza che io li aiuti a cambiare il partner. Questa premessa è sempre sbagliata. Ciascuno di noi può cambiare solo sé stesso, e il cambiamento di un elemento porterà un cambiamento dell’intero sistema. Quindi, ciascuno può cambiare soltanto il proprio comportamento rispetto ad un comportamento non gradito dell’altro e questo produrrà degli effetti sulla coppia.

Rottura dei legami

La rottura di un legame affettivo è difficile e spesso dolorosa anche per chi prende la decisione.

A volte si ha la difficoltà di prendere decisioni. Spesso ci si abitua talmente tanto all’insoddisfazione che la si sente quasi familiare e più rassicurante rispetto all’ignoto rappresentato dal futuro da soli.

Talvolta, la paura del cambiamento, può portare le persone a vivere legami altamente conflittuali senza trovare soluzioni o celarsi dietro un’apparente normalità di coppia che nasconde distanza emotiva ed estraneità.

I legami rappresentano quindi un vincolo affettivo, una relazione, ma in senso estremo possono costituire qualcosa che lega, che costringe e da cui è difficile svincolarsi. Conoscerne le caratteristiche e i meccanismi di funzionamento, può aiutare a viverli in modo appagante e soddisfacente e quando necessario, scioglierli e liberarsi da legami diventati ormai catene e non più affetti!

Bibliografia

  • Bowlby, Costruzione e rottura dei legami affettivi, 1979, Raffaello Cortina
  • Bowlby, Una base sicura, 1989, Raffaello Cortina
  • Loriedo, Picardi, Dalla teoria generale dei sistemi alla teoria dell’attaccamento, 2007, Franco Angeli

La famiglia nella vita dell’adulto

Qualche settimana fa abbiamo parlato di adolescenti e dell’importanza della famiglia nel percorso di crescita. Oggi affronteremo il tema del ruolo che ricopre la famiglia per un adulto, intendendo con il termine “famiglia” la famiglia d’origine (i genitori).

Spesso gli studi demografici hanno descritto una situazione italiana, nella quale i giovani lasciano la casa dei genitori intorno ai 30 anni e oltre, ci parlano di adolescenza lunga e mancanza di autonomia da parte dei giovani.
Sociologi e psicologi hanno cercato di dare spiegazioni a questo fenomeno, che presenta diverse chiavi di lettura.

E’ senz’altro legato a condizioni socio-economiche connesse al mercato del lavoro e a fattori individuali, ma può anche essere ricondotto alla fragilità delle relazioni all’interno della famiglia. Spesso di tratta di famiglie troppo invischiate, nelle quali la sopravvivenza stessa del sistema familiare dipende dall’unione dei suoi membri. Bowen parla di “massa indifferenziata dell’io familiare” per descrivere un identità emotiva conglomerata, una situazione dove i membri sono in un rapporto simbiotico. In famiglie con questo funzionamento l’uscita da casa dei figli può essere vissuta come un vero e proprio tradimento dell’unità familiare e un abbandono del sistema stesso.

Il processo di svincolo dei giovani adulti dal nucleo familiare genitoriale è da inquadrarsi nella coesistenza di due fattori: appartenenza e separazione.

Questi due concetti si riferiscono al processo che consente agli individui di intraprendere una vita autonoma e al tempo stesso non perdere l’importante legame con le proprie radici.

Equilibrio

Chiedere ad un individuo di appartenere ad un sistema ed allo stesso tempo di separarsene, può sembrare una contraddizione; ma soltanto se si assumono i due termini come antitetici e mutualmente escludentisi (o appartieni o ti separi). La vita umana non è mai o bianca o nera, è ricca di sfumature di colore, così se li interpretassimo invece, come due poli opposti lungo un continuum, potremmo constatare che esistono dei valori intermedi nei quali si può raggiungere un soddisfacente grado di autonomia pur mantenendo un legame affettivo e relazionale con i genitori.

Si può per esempio decidere di accettare un lavoro ben retribuito e appagante molto lontano da casa, con la consapevolezza che i genitori restino un punto di riferimento stabile e non vari l’investimento affettivo, e con la certezza di poter tornare ogni volta che lo si desideri.

Agli estremi di questa teorizzazione, avremo famiglie rigide nelle quali vige la regola “o come noi o fuori dal sistema”; quindi, da un lato troveremo coloro che per affermare la propria individualità devono abbandonare completamente la famiglia d’origine e dall’altro lato persone che devono aderire completamente e acriticamente ai valori e alle scelte dei genitori per non perdere il loro affetto e conservare l’appartenenza al sistema. Lungo questo continuum, le posizioni più funzionali sono quelle intermedie. Si deve sentire il senso di appartenenza al sistema familiare sapendo di potersene discostare per portare a compimento la propria individualità e il proprio progetto di vita.

L’individuo ha bisogno della certezza di poter scegliere autonomamente (il partner, il lavoro, gli studi, il luogo in cui vivere) sapendo che il legame con i suoi genitori va oltre le scelte e non verrà inficiato da esse.

Essere sé stessi mantenendo salde le radici e i rapporti con la famiglia è una dinamica in continuo adattamento. E’ un processo che richiede l’impegno di tutti i componenti del sistema, necessita di una buona dose di flessibilità e accomodamento. Pensiamo ai vari contesti della vita nei quali per essere soddisfatti e realizzati dobbiamo scontrarci con i dinieghi della famiglia (orientamenti sessuali, scelta del partner, scelta del lavoro o del luogo in cui vivere).

Famiglie: risorsa o vincolo?

La famiglia è senz’altro entrambe le cose. E’ una risorsa preziosa, non soltanto per i bambini, ma anche per gli adulti. Rappresenta sovente, una risorsa pratica nella quotidianità, per ciò che concerne il sostegno (economico, emotivo, di gestione dei nipoti) e sia psicologica (fornisce un porto sicuro in cui approdare in caso di difficoltà; costituisce una presenza affidabile, un pilastro a cui appoggiarsi). Non meno importante è il significato simbolico della famiglia come continuità dell’esistenza umana e della stirpe. Fornisce inoltre la sicurezza dell’appartenenza ad un sistema con un forte legame emotivo.

Al tempo stesso però può rappresentare un vincolo per la realizzazione individuale. A volte la famiglia attribuisce al singolo membro un carico di responsabilità che diventa un vero e proprio nodo, che si fa fatica a sciogliere, soprattutto perché ciò avviene fuori del livello di coscienza (fa parte dei meccanismi inconsci) e ciò comporta l’impossibilità di verbalizzare ed elaborare.

Durante il percorso di crescita l’individuo costruisce una visione del mondo che ha origine proprio dalla famiglia. Il bambino vede il mondo attraverso la lente dei miti e dei mandati familiari con cui entra in contatto. Impara, sin dall’infanzia, che la famiglia ripone tante aspettative su di lui e, cerca (per quanto possibile) di soddisfarle. Le scelte di vita, talvolta rispondono al bisogno di soddisfare le aspettative dei genitori. Questo può avviene in modo automatico e inconsapevole, diventa un comportamento interiorizzato, che va oltre la richiesta esplicita della famiglia. Si può verificare anche in assenza della persona fisica (dopo la morte di un genitore, si può continuare una vita che non soddisfa, soltanto per il senso di colpa causato dall’idea di disattendere il mandato familiare).

Si può uscire da questa morsa vi vincoli e mandati familiari attraverso la consapevolezza, la conoscenza e la comprensione dei vissuti familiari, non solo dei propri genitori, ma anche delle generazioni precedenti. In questo modo, si riesce a portare alla luce quel tesoro sommerso di informazioni che consentono di riflettere, di capire da dove hanno origine certi comportamenti e apportare i cambiamenti desiderati per raggiungere un soddisfacente stato di autonomia.

Albero genealogico

I terapeuti familiari padroneggiano diverse tecniche per esplorare questa dimensione, tra cui il Genogramma. Principalmente usato in terapia familiare, il genogramma si è rivelato essere molto utile anche in ambito preventivo e di esplorazione delle relazioni.

Per darne una definizione sintetica, si potrebbe dire che consiste nella ricostruzione narrativa (e/o fotografica) del proprio albero genealogico. In virtù dell’importanza ricoperta da questo strumento nella pratica clinica, a breve, proporremo, al Lab Famiglie, un seminario per coloro che fossero interessati a conoscere il Genogramma e la sua funzione terapeutica nell’ambito clinico e preventiva in quello gruppale.

Bibliografia

  • M. Bowen, Dalla famiglia all’individuo, 1979, Astrolabio, Roma
  • S.Minuchin, Famiglie e terapia della famiglia, 1976, Astrolabio, Roma
  • S. Montàgano, A. Pazzagli, Il genogramma, 2000, Franco Angeli, Milano

Creatività

Ormai, è per me consuetudine, nella pubblicazione dell’articolo settimanale, riprendere e approfondire l’argomento che affrontiamo su Radio Luna il lunedì in diretta nel programma di Fabio Bellia.

Questa settimana abbiamo parlato di creatività.

Proprio il programma musicale, gli artisti di fama nazionale ed internazionale che ascoltiamo tra un intervento e l’altro mi hanno ispirato l’argomento di questa settimana.

Quando pensiamo alla creatività, la nostra mente associa subito grandi personaggi che si sono distinti nell’arte, nella musica o per le loro importantissime invenzioni, ma essere creativi non significa essere Leonardo Da vinci, Michelangelo o Mozart. Ognuno di noi nella vita utilizza in linea di massima due modalità di pensiero (convergente e divergente). Entrambe utili e funzionali. Il primo è di tipo logico-analitico e ci premette di applicare scrupolosamente le procedure apprese. Molto utile nelle attività che richiedono l’applicazione rigorosa di regole; il secondo è invece di tipo creativo e multifunzionale, molto utile per guardare le cose da punti di vista differenti, per avere visioni alternative.

L’artista utilizza nelle sue creazioni principalmente la forma di pensiero divergente. Questo approccio alla conoscenza del mondo consente di vedere cose che gli altri non vedono, di andare oltre i confini degli schemi della logica. Questa è la caratteristica che accomuna arte e creatività e che consente di raggiungere produzioni originali e stilisticamente lodevoli.

Ma non pensiamo che la creatività sia appannaggio soltanto degli artisti.

Nello svolgimento di qualunque attività è necessario l’utilizzo di entrambe le modalità di pensiero (convergente e divergente). Pensiamo ad un musicista che usi soltanto la propria creatività e non si attenga alle regole che sottendono la produzione musicale, non raggiungerà livelli qualitativi elevati. Allo stesso modo un chimico che utilizzi soltanto il pensiero logico-analitico, che si attenga rigorosamente ai protocolli studiati ed alle procedure note e consolidate, non potrà fare quel passo avanti che gli consentirebbe, per esempio, di scoprire nuovi farmaci.

In ogni ambito della vita quindi, è utile dotarsi di una buona dose di creatività. Essa fa parte delle life skill, ossia quelle abilità indispensabili per una vita funzionale.

Senza pensare alle eccellenze, la creatività, nella quotidianità, è legata al problem solving, ossia alla capacità di risolvere i problemi. Ci aiuta ad ampliare la prospettiva, a collegare elementi diversi e trovare soluzioni nuove laddove il nostro modo di agire non è più funzionale.

La creatività ci può aiutare anche a superare le crisi psicologiche.

Il processo creativo è un processo di cambiamento, di trasformazione e attribuzione di significato.

Anche la costruzione di noi stessi è un processo creativo, è un continuo ricombinare e ridare significato alle relazioni col mondo e alle tracce che queste lasciano nel nostro mondo interiore.

La ricetta per superare i momenti di crisi deve contenere una dose di immaginazione, una di spontaneità, una di produttività e un pizzico di ascolto interno.

Per utilizzare efficacemente la propria creatività non bisogna necessariamente essere dotati di un’intelligenza superiore. Come ha dimostrato nel ‘67 Guillford, uno psicologo che effettuo degli studi sulle forme del pensiero, la creatività opera in modo soddisfacente in individui con quoziente intellettivo nella norma, mentre le persone con intelligenza superiore (con QI sopra i 120) tendono a non usarla o usarla meno. Pensano in modo conformista, attenendosi scrupolosamente alle teorie e concetti precedentemente memorizzati.

Ma la creatività non è una dote innata, è un’abilità che si può apprendere e potenziare durante la vita. Come l’esercizio fisico può consentire lo sviluppo muscolare, così l’allenamento del “cervello” attraverso l’utilizzo di specifici training di apprendimento consente di potenziare il pensiero divergente.

Oggi la creatività è considerata a tutti gli effetti una capacità trasversale, una caratteristica dell’individuo che entra in gioco quando deve risponde ad una richiesta in ambito organizzativo. Come abbiamo detto precedentemente, fa parte delle cosiddette life skill, abilità che servono per la vita di ogni individuo.

Quindi, se la creatività può essere imparata, dovrebbe essere insegnata. Ma, a tutt’oggi, nelle nostre scuole, eccezion fatta per istituti artistici e materie specifiche (come musica, danza, ecc…) viene maggiormente apprezzato il pensiero convergente. Gli studenti vengono incoraggiati ad attenersi alle regole e non mettere in discussione gli insegnamenti. Mentre sarebbe auspicabile che le abilità creative venissero potenziate in tutti gli ambiti disciplinari, che la scuola preparasse sin da piccoli ad utilizzare la flessibilità, l’immaginazione e l’intraprendenza, doti sempre più apprezzate in ambito lavorativo.

Ai nuovi manager, a coloro che ambiscono a posti di successo, viene richiesta sempre più la padronanza di queste qualità, quindi sarebbe particolarmente utile far fiorire e potenziare queste caratteristiche sin dalla tenera età.

Per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento, consiglio il testo di A. Antonietti, La creatività si impara, edito da GiuntiScuola, 2011.

L’autore spiega in modo chiaro metodi e tecniche per lo sviluppo del pensiero divergente a scuola.

Dott.ssa Daniela Podda

Riprendiamoci l’arcobaleno!

Oggi voglio affrontare un argomento che mi sta molto a cuore: gli stereotipi. Da poco si è festeggiata la ricorrenza della Festa della Donna, sulla cui origine ci sarebbero diverse teorie. La più diffusa in Italia, farebbe risalire la nascita di questa celebrazione ad un episodio di cronaca avvenuto nella seconda metà del 1800; l’incendio di una fabbrica, nel quale morirono centinaia di operaie costrette all’interno da un padrone despota e autoritario.

Quale sia la vera origine, e quale sia la vostra posizione in merito, vorrei partire da questo spunto per parlarvi di stereotipi, e nello specifico stereotipi di genere.

Cos’è uno stereotipo?

Se non abbiamo le idee chiare sull’argomento potremmo cercare nel dizionario.

Il dizionario ci suggerirebbe che con stereotipo si intende un modello convenzionale di atteggiamento o opinione precostituita, generalizzata e semplicistica, che si ripete in forma meccanica e non si fonda sulla valutazione dei singoli casi.

Io la definirei una scorciatoia del pensiero. Ci allevia dalla fatica di elaborare tutta una serie di informazioni che dovremmo acquisire nell’incontro con una persona nuova. Per usare un’analogia con l’informatica, lo stereotipo è per la mente la modalità “risparmio energetico”.

Immaginiamo il nostro cervello come un computer che deve elaborare informazioni che provengono dall’esterno, come un data base suddiviso in tante caselle. Ogni casella corrisponde ad una categoria. Le categorie sono numerose e vengono create per inserire tutto ciò con cui entriamo in contatto. Ad ogni categoria attribuiamo delle caratteristiche che supponiamo il soggetto debba avere. Per esempio, quando incontriamo una donna, il nostro cervello ci rimanda tutta una serie di informazioni sulla donna, per es. che le donne sono fragili e sensibili, che amano i bambini e la famiglia, che amano il rosa, i fiori, ecc… potrei stare qui delle ore ad elencare tutte le caratteristiche che le donne dovrebbero avere, secondo lo stereotipo “donna”. Questo modo di elaborare informazioni, ci evita di acquisire tutta una serie di informazioni sul singolo, ma ovviamente ha il suo risvolto della medaglia, ossia ci fornisce una visione falsata, distorta delle persone e delle cose, perché i parametri che abbiamo nel nostro database sono artificiosi e limitanti e tendono solo a fornirci una visione povera e annebbiata della realtà.

Lo stereotipo ci limita nella percezione della realtà e blocca ogni forma di immaginazione.

Come liberarci dallo stereotipo

Liberarci dagli stereotipi è arduo ma possibile. Potremmo cominciare disattivando la “modalità risparmio energetico” e pensando! Pensando liberamente, senza pregiudizi. Potremmo sviluppare la capacità di entrare in contatto con “la persona” e non con una categoria astratta (la donna, l’uomo, l’immigrato, l’omosessuale ecc…). La curiosità è un ottimo alleato del pensiero libero e creativo. Aver voglia di scoprire chi è davvero quella persona, quali sono i suoi gusti, le sue aspirazioni, ci aiuta a liberarci dalla zavorra dello stereotipo.

Il titolo di questo articolo recita “Riprendiamoci l’arcobaleno”. Questo messaggio vuol essere un’esortazione a scegliere fuori dagli stereotipi. Per troppo tempo ci hanno insegnato che esistono colori da maschio e colori da femmina. L’utilizzo dei colori in base al genere di appartenenza è il primo grande stereotipo con cui ci confrontiamo sin dalla nascita. Riprendiamoci l’arcobaleno vuol essere un inno alla libertà individuale, all’agire al di fuori delle definizioni di genere, seguendo soltanto le proprie inclinazioni, assecondando le proprie emozioni. Ognuno di noi è una persona con le proprie peculiarità. Con ciò infatti, non si vogliono annullare le differenze. Esse esistono e vanno valorizzate, ma non possono essere attribuite all’appartenenza ad una categoria piuttosto che un’altra, sono legate al fatto che esiste un “io” e un “tu”. Quindi, rompiamo questi schemi e insegniamo ai nostri figli che i colori sono di tutti! E che ciascuno può sentirsi libero di scegliere a prescindere da ciò che la società vorrebbe per lui. Addio etichette, benvenute persone!

Inaugurazione

Condivido con piacere qualche riflessione sull’inaugurazione.

E’ stato emozionante vedere familiari, amici e persone appena conosciute avvicinarsi con curiosità ed interesse allo Studio. Ringrazio loro e voi che state leggendo, soprattutto per avermi dato modo di spiegare  che cos’è Lab famiglie. Lab famiglie, per me, sin da quando era solo un lontano progetto professionale, ha rappresentato qualcosa di diverso dal classico studio di psicologia. L’ho immaginato come una spa del benessere psicologico e familiare. La sua finalità principale è il benessere globale della persona. Di solito, siamo abituati a rivolgerci allo psicologo quando avvertiamo un problema o un disagio. Lab famiglie invece, propone attività con finalità di prevenzione e rivolte a tutti, non solo a chi sente di avere un bisogno particolare. Infatti, mi auspico che Lab famiglie possa diventare un luogo accogliente dove potersi incontrare, confrontare e sperimentare; “un laboratorio permanente” nel quale le persone possano sperimentare sé stesse in modi differenti, e sé stesse in relazione con gli altri, con l’obiettivo di favorire percorsi di consapevolezza di sé, dell’altro e delle relazioni.

Il motto che accompagna le proposte dello Studio è “dallo psicologo per fare” e per “fare insieme”. Infatti, le attività sono di tipo laboratoriale: gruppi di persone che lavorano insieme per il raggiungimento di obiettivi di sviluppo. I laboratori sono rivolti alle famiglie con figli, alle coppie ed ai singoli individui.

Durante l’anno, ci si concentrerà su diversi argomenti: promozione di stili di vita sani, rapporto col proprio corpo, il contatto con le proprie emozioni, il potenziamento dell’alleanza familiare.

E vorrei soffermarmi un attimo proprio su due concetti sopra citati: corpo e relazione. Perché alla base della nostra vita c’è la relazione tra esseri umani. La relazione implica l’utilizzo del corpo. Noi comunichiamo col corpo. Spesso in modo inconsapevole ma col corpo, scambiamo quotidianamente messaggi a vari livelli, attraverso la postura, la voce e il tatto. E attraverso il corpo veicoliamo emozioni, stati d’animo, sentimenti ed è proprio il corpo che talvolta, quando proviamo disagio, manifesta la sofferenza (per esempio nei disturbi psicosomatici). Quindi, questi due elementi importanti per il benessere, corpo e relazione, fungeranno da comune denominatore per i laboratori. E proprio pensando al corpo che comunica, al corpo in movimento, che ho concluso il breve discorso di presentazione, lasciando spazio ad una danza tribale interpretata dalle bravissime ballerine Alice e Benedetta. La loro danza è stata evocativa di emozioni ed ha coinvolto tutti, soprattutto i bambini, che ancora svincolati dalle inibizioni (degli adulti) sono riusciti a farsi trascinare nel dialogo corporeo. 

Alice e Benedetta della palestra Zen & Fit